Continuiamo la nostra serie di conversazioni con professionisti freelance che collaborano con ProActivity. In questo episodio incontriamo Davide, Senior Front-end Engineer con una grande expertise in ambito UI/UX. Un professionista che non si limita a scrivere codice per le interfacce, ma ragiona sul prodotto, sulle persone che lo useranno e su come il front-end traduce davvero un progetto in qualcosa di vivo.
Davide, partiamo da una cosa che molti frontend sentono: quante volte hai sentito dire “tanto è solo front-end”?
Devo dire piuttosto spesso. Purtroppo, permane in certi contesti ancora l’idea che il back-end sia “la parte seria” e il front-end “quella che mette i colori”. Poi, però, quando l’utente non capisce dove cliccare, improvvisamente diventa un problema urgente. Il front-end è l’interfaccia tra il progetto e la realtà: se sbagli lì, puoi avere l’architettura più elegante del mondo, ma nessuno se ne accorgerà.
Cosa significa fare front-end oggi?
Per me vuol dire lavorare su performance, accessibilità, consistenza visiva, flussi di navigazione. Vuol dire far convivere esigenze tecniche con la psicologia dell’utente. E anche dire qualche “no” a scelte visive fatte per estetica senza pensare all’uso reale. Penso infatti che il front-end non sia cosmetica, bensì architettura visibile.
Dal punto di vista di un freelance, come valuti un progetto prima di accettarlo?
Guardo due cose: maturità tecnica e rispetto per il lavoro di frontale. Se al colloquio mi dicono “abbiamo già tutto, devi solo integrare i componenti”, so già che mi faranno fare pixel pushing su richieste cambiate diverse volte al giorno. Se, invece, capisco che vogliono un front-end che ragiona sul prodotto, allora ha senso.
Qual è la difficoltà più grande per un front-end freelance?
Farsi percepire come professionista di prodotto e non come un semplice esecutore. Il rischio, infatti, è essere coinvolti quando è già tutto deciso e poi dover mettere in ordine un design confuso. Per questo motivo, serve trovare interlocutori che ti mettano nella fase giusta del progetto, non quando ormai è tardi per fare bene.
In questo senso, come valuti il modo in cui ProActivity gestisce l’ingaggio con profili come il tuo?
Apprezzo una cosa semplice ma rara: mi hanno presentato i progetti con contesto vero, spiegandomi dove si trova il team, cosa si aspettano dal front-end e che tipo di contributo serve. La selezione non è una formalità: il team Recruiting fa domande pratiche, onde evitare di mandare profili poco profilati al cliente. Penso sia un approccio più rispettoso, sia verso noi freelance che verso chi assume.
Restare freelance nel lungo periodo: cosa ti fa dire “ne vale ancora la pena”?
La possibilità di scegliere i contesti giusti e di non restare fermo sempre sullo stesso progetto per anni. Per me, la libertà non è solo uscire dal contratto, è poter orientare il proprio percorso: ma funziona solo se ci si circonda di interlocutori affidabili che non ti propongono cose a caso pur di chiudere una posizione.
ProActivity è il punto di svolta per l’acquisizione di talenti tech. Consideriamo infatti professionisti come Lorenzo risorse indispensabili e, tramite un processo di screening evoluto, assicuriamo la coesione ideale tra i freelance e le aziende. Il nostro impegno è superare il recruiting tradizionale per creare un ecosistema flessibile e dinamico: siamo il partner strategico che conferisce alle imprese la potenza di innovare e scalare i team con prontezza e accuratezza. Contattaci per approfondire il nostro approccio.
